martedì 24 novembre 2009

venerdì 20 novembre 2009

L'origine della creatività

I significati

Com’è caratteristico della lingua italiana, parlare di errore o di errare non identifica un concetto chiaro e univoco, il contesto in cui fluttua permette alla parola di identificare diverse sfumature di significato.

Se cerchiamo di superare la semplice definizione formale della parola, emergono molte affascinanti interpretazioni dell’errore che questa tesi ha preso in esame.

L’origine latina di “errare” propone la più autentica essenza della parola “vagare […] allontanarsi dalla retta via”. Tale aspetto non vale solo per la fisica azione del viaggiare al di là dalle strade conosciute, ma anche come allontanamento dalle rette vie del pensiero. La capacità, di ragionare oltre gli schemi, di rompere le regole e di guardare le cose sotto nuovi punti di vista cercando nuovi orizzonti, non sempre viene considerata positivamente.

Errare è un verbo che indica un’azione strettamente legata a quella della scelta. Gli errori si ottengono mescolando scelte ad un pizzico di casualità, soprattutto se le decisioni si compiono in campi sconosciuti o poco esplorati.

Gli errori si commettono, e poi tendenzialmente si correggono, si evitano o si cerca sempre di non ripeterli.

Se ci guardiamo alle spalle e analizziamo la nostra storia, notiamo come l’intero nostro percorso è cosparso di piccoli grandi errori: compiuti per scelte, dettati dalla ragione o dalla necessità (ventiquattro – errore, il sole 24 ore, n 11 novembre 2008. Pp.111). Come parte integrante della nostra storia, gli errori hanno contribuito a renderci quello che siamo, a formare il nostro carattere e, soprattutto, sono stati fondamentali nel concederci delle esperienze da cui imparare (“sbagliando s’impara”).

“La perfezione elimina il problema o lo nasconde, l’errore lo crea e obbliga all’intelligenza”. (Planck)

Errare può essere considerato un modo per far lavorare l’intelletto, la nastra capacità di sbagliare ci permette di porci innanzi a nuove sfide e situazioni da risolvere costringendoci all’uso dell’intelligenza per rimediare alle situazioni che si sono andate a creare. Gli errori di percorso ci permettono di trovare nuove strade e imparare a cavarsela anche lontani dalla “retta via”.

Non solo le storie personali di ogn’uno sono segnate da errori, ma anche nella storia dell’evoluzione umana troviamo molteplici esempi di errore come elemento di rottura, fatto determinante di grandi svolte cultuali o scientifiche.

Errore negativo

L’appellativo negativo, da sempre accostato all’errore, è un elemento predominante nella concezione generale della parola. Chi compie un errore il più delle volte sbaglia.

Chi si allontana dalla “retta via” va’ incontro a percorsi difficili, rischiosi e che il più delle volte non portano a niente, o peggio portano a risvolti pericolosi.

Se consideriamo l’errore come tutti quegli avvenimenti che si discostano dal regolare e ottimale andamento delle cose, possiamo considerare i quotidiani come dei collezionisti di errori. Pagine che raccolgono fatti inconsueti, cronache e notizie di errori del sistema sociale. Quante volte si legge di disastri aerei o incidenti sul lavoro causati da un fatidico “errore umano”, notizie che alimentano la fama dell’errore come essere “diabolico”, mai “divino”.

I regolamenti si possono considerare indicazioni per un ottimale svolgimento delle cose, ottenuti attraverso precedenti esperienze e collaudi che possono testimoniare e garantire quello che può accadere. Interessante è considerare che se nessuno avesse intrapreso per primo quella strada o quel metodo, nessuna regola si sarebbe mai potuta scrivere su di esso. Ecco perché le regole, sotto questo punto di vista, si possono considerare come quegli errori appurati e consolidati nel tempo.

L’errore è strettamente legato alla regola, l’uno dipende dall’altra come l’Yin e lo Yang. Non per niente si dice che “l’eccezione conferma la regola, mentre troppe la distruggono”. Aggiungerei anche che troppe eccezioni vanno a formare una nuova regola che si sostituisce alla prima. Sono infatti quegli errori che diventano routine, che si ripetano fino ad essere legittimati come dato di fatto, a costituire le regole: “l’errore (l’eccezione) di oggi, è la regola di domani” (Aprile, P., Elogio dell’Errore, edizione Piemme, Alessandria 2003, p.43).

Considerando che “errare è umano”, molti considerano l’errore come caratteristica di unicità tipica dei manufatti. Essendo esso una caratteristica naturale ed irrinunciabile di ogni attività organica, l’errore, sotto quest’ottica, non è più prettamente negativo, ma un piccolo particolare che dona il valore di unicità alla creazione.

Nella valutazione di un manufatto, però, il metro di misura è sempre e comunque la perfezione, in proporzione alla difficoltà di esecuzione. L’errore è contemplato sì, ma come caratteristica intrinseca del nostro operato. Elemento invisibile, legato alla complessa teoria di casualità per cui due gesti umani per quanto simili non potranno mai essere identici. Meno errori contiene un nostro lavoro e più viene valutato, più si avvicina alla perfezione e meglio è. Ecco perché l’errore è un fato negativo, perché costa lavoro e fatica evitarlo, o risolverlo, mentre basta poco per ottenerlo.

L’errore positivo

Parte integrante del mondo naturale, l’errore, inteso come imperfezione, è una caratteristica dell’organicità che distingue tutto il creato. Molte discipline, dalla chimica alla matematica dall’informatica alla filosofia, contemplano il concetto di errore, ma lo si ritrova soprattutto nel mondo animale e vegetale come elemento di inequivocabile originalità. Una mela con una piccola imperfezione da’ l’idea di essere più genuina di una mela perfetta, la produzione artigianale è considerata di maggiore qualità rispetto a quella industriale anche se, a causa di infinite piccole irregolarità, è meno perfetta di quanto prodotto meccanicamente.

Paradossalmente quel che è una caratteristica negativa, l’imperfezione, può decretare anche la qualità e il valore di qualcosa.


L’origine della creatività

Arthur Koestler nella sua opera “L’Atto della Creazione” (Ubaldini Editore, Roma 1975) spiega come “La grandezza dei filosofi della rivoluzione scientifica non è consistita tanto nel trovare risposte giuste, quanto a porre le giuste domande; nel vedere un problema dove nessuno lo vedeva prima; nel sostituire un ‘perché’ a un ‘come’”.

Per avvallare questa sua teoria propone come esempio lo studio dei moti celesti di Keplero, il quale non si chiedeva come Dio muovesse i corpi celesti, ma come le leggi fisiche e matematiche della natura potessero comportarsi in un simile contesto. Ecco come la sua diversa visione di un problema sedimentato negli anni gli ha permesso di sviluppare le domande giuste.

Anche Darwin è stato un grande studioso della creatività, e afferma che essa non è la capacità di proporre idee o sistemi di idee dal nulla, ma di rompere gli scemi mentali consolidati, mediante un sistema di ibridazione.

Proprio i casuali errori che si incontrano durante la ricerca possono essere le scintille di quelle “giuste domande” di cui parla Koestler.

Seguendo le diverse tesi che precedono quella di Darwin, nel tentativo di spiegare l’evoluzione delle specie, si possono distinguere fondamentalmente due dottrine: un “ascendente” e una “discendente”. La prima è quella di Platone, neoplatonica, e di alcune correnti cristiane particolarmente tradizionaliste, la seconda è invece quella approfondita poi da Darwin.

“L’ascendente” concepisce la creazione come un atto unico e irreversibile, anche la visione platonica di Aristotele lo porta a negare qualunque possibile modifica, fino al giudizio finale. Un po’ come affermare che le idee vengono per improvvisa illuminazione divina, e non hanno nessun tipo di possibile evoluzione.

Questa teoria “ascendente”, però, venne ampiamente smentita nel corso della storia, a partire dal periodo della scienza greca, fino al più moderno tempo della rivoluzione scientifica, quando Tycho, Keplero, e Galileo misero in discussione il dogma dell’immutabilità.

Fu in particolare dalle dichiarazioni di Newton nella sua opera “Ottica” che altri scienziati successivi abbozzarono la teoria dell’evoluzione ad “Albero”, in cui da una radice comune si sviluppano più specie, formando le basi per gli studi di Darwin.

Gli scritti di Darwin (Darwin, C., L’origine della creazione, traduzione di Balducci, C., Newton Compton Italiana, Roma giugno 1974) concludono questo dibattito proponendo la sua visione evoluzionistica da applicare non solo allo sviluppo della vita sulla Terra (come viene principalmente inteso) ma anche alle discipline teoriche e mentali dell’essere umano.

L’analisi proposta da Darwin si oppone alle teorie creazioniste formulate fino a quel tempo, non vuole credere a delle provvidenziali e irreversibili capacità di dar luce a qualcosa di nuovo, ma osserva e studia come le creature e le creazioni possono evolvere. Nuove specie nascono in seguito a variazioni di percorso, di ambiente o per molteplici altri fattori che permettono ad alcuni di mutare per sopravvivere a ad altri di estinguersi.

Ernest Jones, riporta e commenta quanto trovato in un saggio di Freud, il padre della psicologia, il quale afferma che il genio creativo sembra essere una mescolanza di scetticismo e ingenuità: scetticismo per quanto riguarda i dogmi impliciti nei modi tradizionali di pensare, e tendenza a prendere in seria considerazione teorie assai più fantasiose.

Un vecchio rosarium dell’alchimista, citato da Koestler, riporta annotati a fianco del testo due consigli per trovare la pietra filosofale: “La pietra si può trovare solo quando la ricerca grava pesantemente sul cercatore – Cerca duramente e non troverai, non cercare affatto e troverai”.

Un modo semplice e diretto che mette in luce due aspetti importanti per la scoperta e creazione di nuove soluzioni, una implica il bisogno di essere pronti attenti ed inten-samente concentrati per cogliere gli indizi che portano ai risultati, l’altra spiega che il caso è comunque una variante importante.

“saturatevi completamente del vostro argomento… e aspettate” era il consigli odi Lloyd Morgan. “la sorte non favorisce l’invenzione che per le menti che si sono preparate alle scoperte con uno studio paziente e perseverando negli sforzi”, ha detto Pasteur, il quale considerava la fortuna della scoperta una ricompensa agli intensi sforzi applicati nella ricerca.

“Alle volte”, scrive Koestler, “ viene quasi il sospetto che queste allusioni a ispirazioni misteriose e lampi improvvisi, a tutte queste dichiarazioni di innocenza (“non so come ci sono arrivato”) derivino da un desiderio di apparire come il padrone privilegiato di qualche demone socratico. Tuttavia non si può certo negare la presenza massiccia di elementi irrazionali nel processo creativo, non solo nell’arte (dove siamo pronti ad accettarla), ma anche nelle scienze esatte; e ciò è particolarmente evidente nelle scienze che sono tra le più razionali: la matematica e la fisica matematica.”

Da Keplero a Cartesio fino a Planck e Broglie, i metodi di lavoro dei maggiori pionieri sembrano ispirarsi a una poesiola che Einstein improvvisò per una signora sconosciuta che gli aveva chiesto di fargli una dedica su una fotografia:

“Talvolta un pensiero mi annebbia l’Io: sono pazzi gli altri – o sono pazzo io?”.

Sempre Koestler prosegue spiegando che, a differenza di quello che è l’immaginario comune, gli uomini di scienza non sono “austeri, logici e glaciali”, ma traspare dalla lettura dei loro appunti e taccuini quanto siano romantici ed irrazionali.

In seguito alle considerazioni di questi studiosi la creatività non deve seguire le strutture logiche diffuse e consolidate nella società, ma deve essere in grado di rompere tali vincoli per trovare nuove idee, nuove strade che possono spesso portare al fallimento, ma molte altre volte a grandi nuovi orizzonti. Per errore o fatalità si ottengono risultati fuori da ogni schema considerato, rivelando nuovi percorsi ai ricercatori, persone speciali non per le loro capacità logiche ma per il loro coraggio di osare, la costante curiosità e l’instancabile ottimismo.

L’errore è in questo caso la capacità di infrangere le regole, di pensare fuori dagli schemi, di affrontare il rischio di allontanarsi dalle strade già battute e consolidate per trovarne di nuove: “creare”.

Le definizioni

-errare- Dal latino error. Vagare qua e la senza meta allontanarsi dalla retta via allontanarsi dalla strada principale, dal viale battuto. Cadere in errore.

v.intr. (lat errare; èrro;aus. avere). Vagare, andare qua e là, aggirarsi senza meta o ragione o scopo: errare in un paese ignoto o in mezzo ai boschi. / Lasciarsi trasportare dalla fantasia, dal ricordo: errare con i propri pensieri. / Spostarsi da un luogo all’altro: le nuvole errano nel cielo. / Smarrirsi, perdere la direzione: errare dalla retta via, dal giusto / Ingannarsi, sbagliare: tutti possono errare, errare è umano.

-errore- allontanamento dal vero, dal giusto, dalla norma, errore di valutazione, di grammatica, di ortografia. Per sbaglio, per distrazione. Differenza in una misurazione fisica tra il valore esatto e il valore indotto.